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La risurrezione dei corpi.


JD Jonny

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LA RISURREZIONE  DEI CORPI E' UN INSEGNAMENTO BIBLICO.

L'ANIMA NON E' IMMORTALE SEPARATA DAL CORPO.

Quando si parla di risurrezione è normale farsi tante domande, perché è un insegnamento di cui sappiamo quasi niente per esperienza personale. Allora ci affidiamo al testo per eccellenza che ne parla in maniera vivida e concreta.
Cercheremo di sfatare alcuni miti sull'anima e sullo spirito così legati alla risurrezione del corpo, e parleremo di quale corpo viene risuscitato e come .
Ovviamente ci concentreremo sulla risurrezione centrale del testo biblico, quella di Gesù e vedremo come questa diventa la base della nostra speranza sia da vivi che da morti.

La risurrezione dei corpi ha sempre sbalordito i credenti per la sua contraddizione all'insegnamento dell'immortalità dell'anima. Infatti se l'anima o lo spirito che abita il corpo e ne esce al momento della morte, che senso ha parlare di risurrezione del corpo ?
Eppure nella bibbia sia nel vecchio testamento che nel nuovo si fa riferimento proprio alla risurrezione del corpo come ad una nuova ricreazione della persona morta, costituendo di nuovo l'anima dell'intera persona.

Facciamo una precisazione.

Le tracce di un credo nella resurrezione ritrovate nei riti della fertilità dell'antico Egitto non sono da porsi in relazione col pensiero ebreo, perché per gli Egiziani una simile resurrezione rappresentava una sorta di sviluppo naturale, riservato in ogni caso a coloro che subivano il processo di mummificazione. A volte è stato proposto che la dottrina della resurrezione possa derivare dai Persiani, dalla loro idea di salvezza, appunto, mediante una resurrezione. Tuttavia la comprensione persiana e quella ebrea della resurrezione sono chiaramente distinte.

 Presso gli ebrei la resurrezione era considerata un risveglio dei corpi sepolti nella terra grazie all'intervento poderoso di Dio, mentre i persiani, che non seppellivano i corpi ma ne lasciavano la dissoluzione agli elementi, consideravano la resurrezione come una restituzione della vita operata dai medesimi elementi, in modo però selettivo. Fra Persiani ed Ebrei si può registrare una certa continuità in merito alla dottrina sulla retribuzione dopo la morte, ma non rispetto alla concezione della resurrezione in se stessa.
La resurrezione come speranza biblica é anche lontana dalla credenza budddista, intesa come trasmigrazione delle anime (metempsychosis), che conduce alla popolare e ricorrente credenza nella reincarnazione. In effetti, entrambe le dottrine sottolineano il fatto che la pienezza e l'immortalità dell'essere umano non possono essere ben comprese prescindendo dalla corporeità. Tuttavia, anche in questo caso, sono palesi le differenze col credo ebraico-cristiano  perché la finalità della trasmigrazione sarebbe la purificazione dell'anima mediante la sua reiterata separazione dalla materia, mentre quella della resurrezione è la permanente riunificazione del corpo e dell'anima, dello spirito e della materia,  perché il processo di trasmigrazione avviene varie volte, appunto, per completare la purificazione di una determinata anima, mentre la resurrezione, anzi la medesima vita umana, avviene una sola volta per tutti allo stesso tempo, cioè «nell'ultimo giorno», o «alla fine dei tempi»,  infine, perché la trasmigrazione è un processo naturale, un passaggio delle anime da un corpo ad un altro, mentre la resurrezione dipende dall' onnipotenza di Dio .

E' da notare che nei libri più antichi del vecchio testamento non è radicata la convinzione di una vera e propria resurrezione dalla morte  e neanche di una immortalità dell'anima, concetto molto presente tra Egizi e Babilonesi contemporanei degli ebrei. Per gli ebrei è invece presente il concetto delll'immortalità, che viene compresa  come la perpetua memoria del proprio nome, attraverso i discendenti o mediante la persistenza della propria fama.

(da ora in poi mi riferisco al Vecchio testamento come AT, e nuovo testamento come NT)

 La dottrina circa la resurrezione individuale del proprio corpo, invece, prende spazio nei libri posteriori dell'AT, specie in quelli di genere apocalittico e si poggia su 5 basi teologiche.

1 Base.
Il terreno di base della dottrina sulla resurrezione è preparato nell'AT in una varietà di modi, sia teologici che letterari, lungo un considerevole periodo di tempo. In primo luogo l'AT insegna che il potere supremo e liberante di YHWH si estende ovunque, anche sullo se'ol , luogo di riposo dei morti (cfr. 1Sam 2,6; Am 9,1-2;Sal 16,9; ). Di conseguenza, nessuno sfugge alla sua giustizia (cfr. Sal 88,11 e 139,8-12; Gb 14,13).

2 Base.
 In secondo luogo YHWH si distingue dagli dèi pagani, perché «Dio dei viventi» ( 1Sam 17,26.36; Sal 18,47), la sorgente che dona la vita, incessantemente e senza misura (cfr. Dan 14,25). Si può dunque trovare una certa continuità fra la dottrina della creazione e quella della resurrezione.

3 Base.
 In terzo luogo, la morte e la corruzione non appartengono all'originario progetto di YHWH, che ha creato ogni cosa per la vita. Sullo sfondo della storia, si riconosce che la morte è entrata nel mondo attraverso il peccato dell'uomo (cfr. Gen 3,17-19;  concetto ripreso nel NT in Rm 5,21 e 3,23; Gc 1,15); il superamento del peccato viene così legato al superamento della morte, cioè alla resurrezione, che diviene manifestazione della salvezza. Coloro che vivono in unione con Dio saranno liberati dalla morte (cfr. Gb 14,10-21; Sir 14,16).

4 Base.
In quarto luogo, il materiale letterario per descrivere la resurrezione è fornito dal Libro dei Re e da altri libri dell'AT, che spiegano come i profeti Elia ed Eliseo realizzarono dei miracoli di resurrezione di alcuni morti (cfr. 1Re , 17,17-24; 2Re 2,9 e 4,31-37;). 
In modo analogo l'«assunzione» al cielo di Enoch (cfr. Gen 5,24; ) e di Elia (cfr. 2Re 2,1-11; ), fornisce una chiara indicazione circa la "possibilità" di una restituzione, dopo la morte, di una piena vita corporale,  in un contesto  terreno. 

5 Base.
In quinto luogo, infine, molti testi profetici - particolarmente quelli appartenenti al periodo post-esilico - parlano della caduta e del risollevamento del popolo israelita in termini di un processo corporeo di morte e di resurrezione. L'idea è presente in Is 25,8, un testo che verrà ripreso da  Paolo nella proclamazione della resurrezione (cfr. 1Cor15,54), ma anche in Is 26,19: «Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri, si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere, perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre».

Cosa insegna  l' AT riguardo alla resurrezione ?

 La fede in una resurrezione personale è tacitamente affermata dal Libro di Giobbe (cfr. 19,25) ed in modo più aperto nel Libro di Daniele.  In questo documento canonico, appartenente al corpo della letteratura detta «apocalittica» si legge: «Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna». Qui si sviluppa l'insegnamento di Daniele che considera la resurrezione in termini di una ricompensa per aver obbedito eroicamente alla legge di Dio, testimoniata da una fede fino al martirio. Resta chiaro che il potere salvifico e vivificante di Dio non è più da vedersi solo in un contesto nazionale e mondano, come insegnato dai profeti, ma come qualcosa che si estende veramente al di là della morte e che riguarda, in linea di principio, l'intera umanità. Occorre aggiungere che i libri sapienziali dell'AT, sebbene parlino dell'immortalità in senso generico, e specie in riferimento all'immortalità della vita, non parlano della resurrezione in quanto tale I testi letterari di genere apocalittico scritti nel periodo intertestamentario, cioè fra la conclusione dell'AT e la redazione del NT, accettano la dottrina della resurrezione.

Cosa insegna il l NT circa la resurrezione finale ?

 Al tempo del NT, il partito dei Sadducei negava la dottrina della resurrezione ed ogni possibilità di vita futura, mentre i Farisei la insegnavano apertamente, sebbene in termini realistici e intramondani, senza toni apocalittici. Tuttavia è ragionevole pensare che ai tempi di Gesù di Nazaret il popolo ebreo, nel suo insieme, non fosse contrario alla dottrina della resurrezione. Può essere significativo che Marta abbia detto a Gesù a proposito di suo fratello Lazzaro, morto poco prima: «so che risorgerà nell'ultimo giorno» (Gv 11,24). Sulla base dei testi del NT si possono evidenziare i seguenti cinque elementi circa l'insegnamento cristiano sulla resurrezione dai morti.

In primo luogo, in contrasto con la negazione della resurrezione da parte dei Sadducei, che accettavano soltanto i primi cinque libri dell'AT (il Pentateuco), Gesù insegna che la resurrezione finale avrà luogo grazie al potere di Dio, che è un Dio dei viventi, il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (Mt 22,32; cfr. Es 3,6). Nel far questo, Gesù ricollega le radici del credo nella resurrezione (cioè la fede nell'onnipotenza e nella sovranità di Dio su tutto l'ordine creato) indietro fino al libro dell'Esodo, accettato dagli stessi Sadducei che negavano la resurrezione. Tuttavia, diversamente dall'insegnamento dei Farisei, Gesù afferma che chi risorge non ritorna ad uno stato di terreno o corruttibile, bensì possederà uno stato incorruttibile, perché alla resurrezione si riceve un nuovo corpo senza difetto.( Ne parleremo più avanti)

In secondo luogo - e questo è l'elemento più specifico della dottrina del NT - la resurrezione avrà luogo non solo grazie al potere vivificante di Dio in genere, ma in virtù della resurrezione di Gesù Cristo dalla morte, con la forza dello Spirito Santo. La resurrezione di Gesù fornisce pertanto la promessa, la garanzia, l'esempio e la primizia della resurrezione universale, che può essere considerata come una «estensione della resurrezione di Gesù a tutto il genere umano».  In modo più specifico, secondo  s. Giovanni, Gesù in persona è «la resurrezione e la vita» ( Gv 11,25), ed egli spiega: «Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso. 

 Verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: non si tratta solo di una resurrezione spirituale dell'anima durante la vita cosciente ma di una vera e propria resurrezione del corpo finito nella tomba del genere umano. ( Gv 5,26.28-29).
Similmente, s. Paolo insiste ripetutamente sulla dottrina della resurrezione finale (cfr. At , 24,14; 1Ts 4,14-17; Ef 3,1-4; 1Cor , 15; ecc.). Cristo è «primogenito fra molti fratelli» (Rm 8,29; cfr. Col 1,18). Nel c. 15 della Prima Corinti egli sviluppa l'idea che la resurrezione finale dipende interamente da quella di Gesù Cristo e colloca questo convincimento al centro della fede cristiana, dicendo che «se non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede .  Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (vv. 13-14 e 20). E ancora: «come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste» (v. 49). Per Paolo la resurrezione è come anticipata nella vita presente, per coloro che partecipano alla morte e resurrezione di Gesù Cristo mediante  il  Battesimo (cfr. Rm 6,3-11; Ef 2,6).

In terzo luogo, come conseguenza, la verità e la concretezza della resurrezione finale derivano dall'oggettività e dal realismo della resurrezione di Cristo, come testimoniato dagli Apostoli e trasmesso a tutti i credenti.

LA RISURREZIONE DI GESÙ È UN FATTO STORICO O UN ATTO DI FEDE DEL CREDENTE ?

 Esistono almeno due elementi che attestano il valore storico ed obiettivo della  testimonianza del Cristo risorto .

 Il fatto della tomba vuota , il cui significato è chiaramente l'identità del corpo del Risorto con il corpo morto sullo stauròs. Sia 1Cor 15,3-4 che At 2,31 suggeriscono apertamente l'identità di soggetto. 

 La terminologia delle apparizioni . 
Nell'esprimere il fatto della comparsa di Gesù risorto è frequente la locuzione «ed egli si mostrò loro» (cfr. Lc 24,34; 1Cor 15,3-8; 1Tm 3,16; At 9,17; ecc.), cioè «si fece vedere da loro», ove l'uso della forma verbale dell'aoristo passivo (gr. ophthe ) pare indicare un incontro a vista con il corpo del Risorto e non una visione. 

 Il riconoscimento .
 Nonostante il timore e l'apprensione degli Apostoli, Gesù li porta a riconoscerlo invitandoli a «toccare e vedere»  ( Lc 24,36), mangiando del pesce arrostito in loro compagnia. Egli indica specificamente ai suoi discepoli non tanto di guardare il suo 'volto', ma le sue mani ed i suoi piedi (cfr. Lc 24,39), perché questi ultimi  dimostrano i segni della sua riconoscibilità e provano l'identità con la inchiodatura al palo, e non tanto per mostrare loro che era lo stesso corpo inchiodato. (cfr. Gv 20,20-27). 

 Con quale corpo risorge Gesù ?

 Le difficoltà avute a volte dagli Apostoli nel riconoscere Gesù dopo la sua resurrezione (apparve loro «sotto un altro aspetto... », Mc 16,12), derivavano dal fatto che Cristo non risorse come lo fece per Lazzaro, ma con un corpo trasfigurato, «glorioso» (Fil 3,21), un corpo che non morirà più (cfr. Rm 6,9). Sebbene ancora presente nello spazio ed attivo nel mondo, il Cristo risorto non appartiene a questo mondo, né vi dipende. Il suo corpo risorto ha subito un cambiamento  di stato e di forma perchè nei discepoli doveva essere impressa la certezza che dopo la resurrezione si diventa una persona nuova, una nuova anima incorruttibile, con un nuovo corpo spirituale.  Gesù non era un fantasma che 'appariva loro' in visione ma 'si mostrò loro in carne ed ossa',  facendo vedere  in maniera miracolosa i 'segni' di riconoscimento che era proprio Lui.
 Tuttavia era risorto con un corpo spirituale, capace di passare attraverso le porte, e prendere diverse sembianze, a volte la figura di un ortolano o di un custode, e nemmeno i 2 discepoli sulla via di Emmaus lo riconobbero. Quando 'apparve' ai discepoli riuniti in una casa, loro ebbero difficoltà a riconoscerlo ed erano turbati, tanto che Gesù dovette far vedere che 'non era uno spirito',ma  era proprio colui che aveva ancora i 'segni' nelle mani e nei piedi.

Perché Tommaso altrimenti  chiese di vedere i segni dell'inchiodatura  sulle mani e i piedi se la faccia di Gesù  era la stessa del vecchio corpo carnale che aveva prima di morire?

 Anche in Gv 21,1 si legge : Dopo questi fatti Gesù apparve di nuovo ai discepoli,  21,4, 'all'alba apparve sulla spiaggia', 21,12 , 'nessuno dei discepoli aveva il coraggio di chiedergli CHI SEI ?'.

Perchè i racconti usano questa terminologia riferita alle sembianze di Gesù che cambia aspetto se fosse vero che Gesù risorge con  lo stesso corpo terreno   che aveva prima della sua uccisione ?

In effetti alcuni sostengono che Gesù risorge con un corpo terreno e poi viene 'mutato' al momento della sua 'ascensione'. ma i fatti dimostrano che il corpo risuscitato di Gesù è un corpo nuovo e alla sua 'ascensione' non avviene un mutamento ma uno 'scomparire alla vista' dei discepoli. Il corpo mostrato ai discepoli di Gesù riconoscibile e tangibile, essendo già risorto incorruttibile il 'terzo giorno', (non mutato 40 giorni dopo) torna nei luoghi celesti, passa da questa dimensione terrena ad una ultraterrena.
Sembra chiaro che lo stupore e le gesta straordinarie compiute da Gesù dopo la sua resurrezione sono incentrate a farsi riconoscere per destare in loro la certezza di averlo visto in una nuova corporalità che 'appare' loro ma che 'sfugge' loro. Gesù risorge con un corpo nuovo, incorruttibile, ma riconoscibile.
La risurrezione di Gesù è un fatto unico e su di esso si basano tutte le altre risurrezioni.

La fede cristiana confessa che la resurrezione di Gesù Cristo, avvenuta «il terzo giorno», cioè la domenica successiva al venerdì della sua morte per inchiodatura al palo,  alla fine del  giorno 14 del mese ebraico di Nisan, dell'anno 30 circa), è un evento che, occorso nella storia, al tempo stesso la trascende.
 In senso stretto, nessuno è stato testimone oculare del momento della resurrezione. Le prime testimonianze del sepolcro vuoto si registrano al mattino di buon'ora (cfr. Mt 28,1; Mc , 16,2; Gv 20,1) e le prime apparizioni collettive alla sera dello stesso giorno (cfr. Lc 24,34-36; Gv , 20,19). Le implicazioni cosmiche della resurrezione ed il peculiare rapporto fra Cristo e il tempo (il NT parlerà dell'Incarnazione del Verbo e della sua vicenda terrena come qualcosa avvenuto «nella pienezza dei tempi», cfr. Gal 4,4; Mc 1,14; Ef , 1,10; Eb 13,8), ne fanno un evento la cui portata certamente trascende la storia degli uomini. Si tratta, inoltre, di un evento capace di possedere le primizie di una intera creazione rinnovata, le cui potenzialità, già date nel mistero del Cristo risorto, non si sono ancora realizzate nel corso della storia, ma si espliciteranno compiutamente solo nell'«ultimo giorno» o alla «fine dei tempi».

Nondimeno, il cristianesimo afferma che la resurrezione ha "attraversato" la storia e ne segnala i suoi effetti visibili, essenzialmente il sepolcro vuoto e la testimonianza di un certo numero di apparizioni del Risorto. La celebrazione domenicale della primitiva comunità cristiana, che comincia a riunirsi «nel giorno del Signore» (cfr. s. Giustino, Apologiae , I, 67), rappresenta uno dei segni più importanti che la resurrezione di Gesù di Nazaret ha lasciato nella storia. La celebrazione eucaristica non viene realizzata né il giovedì, giorno della sua istituzione nell'ultima cena, né il venerdì, giorno della morte di Gesù, né tantomeno il sabato, giorno del riposo festivo ebraico: essa inaugura una nuova consuetudine, che può avere il suo fondamento solo nei fatti avvenuti la domenica di Pasqua, cioè «il terzo giorno». Si tratta di una riunione festiva, di ringraziamento, però con il segno  di un sacrificio di morte, cosa che può comprendersi solo alla luce del fatto che l'avvenimento della morte di Gesù sul palo non costituiva affatto, per i primi cristiani, l'ultima parola del ministero terreno del loro Signore .

Che fine ha fatto il corpo del Signore ?

Originariamente, tanto l'esperienza dei testimoni, quanto le critiche dei loro avversari, prendono avvio dalla constatazione del sepolcro vuoto (cfr. anche Mt 28,11-15). Se così non fosse, non vi sarebbe stata alcuna possibilità, da parte dei discepoli di Gesù, di sostenere pubblicamente la sua resurrezione. A partire da Reimarus (1694-1768), il razionalismo della modernità aveva avanzato diverse ipotesi di spiegazione della resurrezione di Gesù. La più comune di esse riguarda una presunta sottrazione dolosa del cadavere operata dai suoi discepoli, allo scopo di simularne la resurrezione ed il conseguente culto divino. A questa si sono poi affiancate le ipotesi della morte apparente, oppure della scomparsa del corpo per cause naturali (spostamenti tellurici o altro), poi seguita da allucinazioni collettive. In ambito più propriamente teologico si è invece assistito alla separazione, proposta da alcuni autori (ad es. R. Bultmann, vedi infra V) fra il Gesù della storia (sul quale si potrebbe dire poco o nulla) ed il Cristo della fede (risorto nella fede dei discepoli, ma non della storia).
In relazione alle obiezioni mosse alla resurrezione, sono state offerte alcune risposte (un'analisi sempre attuale, dalle risonanze sia storiche che psicologiche, in K. Adam, Gesù il Cristo, 1934). Il quadro risultante da tale confronto è che le difficoltà incontrate nel sostenere tali critiche sono certamente paragonabili, se non superiori, alla naturale difficoltà di accettare la novità e la straordinarietà di una resurrezione di Gesù dalla morte. L'ipotesi del dolo, infatti, deve confrontarsi con la testimonianza della rettitudine e della sincerità di vita dei discepoli, capace di giungere fino al martirio storicamente provato. 
Quest'ultimo non è comprensibile in termini di una ostinazione per fini politici, in quanto il messaggio di Gesù veniva esattamente a stravolgere tali aspettative. A ciò va aggiunta la naturale repulsione della mentalità ebrea ad entrare in contatto con i cadaveri e tanto meno a profanarne le tombe. L'ipotesi della morte apparente non troverebbe riscontro nella sobria, ma realistica, descrizione delle torture inferte al corpo del condannato , sia prima che dopo la sua morte. Non si coniuga con la psicologia dei discepoli, né con la stessa perplessità ed incredulità riportata dalle narrazioni evangeliche, l'ipotesi di una serie di allucinazioni o di visioni che, se teoricamente ascrivibili alle apparizioni isolate del mattino della domenica, non paiono sostenibili in quelle successive: i Vangeli riportano frasi in cui Gesù risorto esorta gli Apostoli a non considerarlo come un fantasma (cfr. Lc 24,39), si offre oggetto della loro esperienza sensibile attraverso il contatto (cfr. Gv 20,27-29) e la consumazione di un pasto in comune (cfr. Lc 24,41-43; Gv 21,5). 
Si direbbe piuttosto, che la tradizione scritta delle narrazioni della resurrezione contenga già al suo interno una risposta ad alcune obiezioni precedentemente incontrate nella predicazione orale.
Le sensibili diversità con cui le apparizioni del Risorto sono presentate nei racconti evangelici non indebolisce, in linea di principio, la loro aderenza ai fatti narrati. Non si tratta infatti di racconti necessariamente cronologici, perché ogni evangelista narra e sottolinea alcuni aspetti piuttosto che altri, secondo uno stile ed una intenzione personali. Luca sviluppa ciò che Marco racconta in modo più essenziale. Matteo sottolinea i temi più significativi per gli ascoltatori ebrei. Giovanni sviluppa alcuni temi in chiave maggiormente teologica. Le differenze (discordia) dei racconti evangelici non alterano la sostanza del fatto riferito, ma potrebbero perfino rafforzarla, se si pensa che con essi non si vuole trasmettere un contenuto predeterminato, bensì delle esperienze e dei ricordi vivi (concordia discors). La situazione presenta delle analogie con quanto avviene nelle narrazioni di un medesimo accadimento, fatte da diversi autori dopo una certa distanza di tempo.
Infine, una delle narrazioni più significative, e per certo verso più paradigmatiche della resurrezione di Gesù, è rappresentata dalla testimonianza oculare di Giovanni del lenzuolo funebre e delle bende, "sgonfiate" per terra, cioè "vuote", nel luogo ove era stato deposto il cadavere di Gesù. Si tratta di una visione riportata sobriamente, con un contenuto certamente più sperimentale che psicologico, sufficiente a generare nel testimone una nuova conoscenza di quanto realmente accaduto (cfr. Gv 20,6-8).
Tutto ciò che avvenne dopo la risurrezione di Gesù, e ciò che fece mostrano che tipo di risurrezione ebbe luogo e cosa doveva rappresentare per i futuri risuscitati.

LA QUESTIONE DELL'IMMORTALITA' DELLE ANIME RISPETTO ALLA RESURREZIONE DEI CORPI.
La questione della dottrina della resurrezione finale veniva posta in contraddizione in quanto sembrava contraddire completamente sia il senso comune, sia le leggi naturali. Secondo il pensiero greco, il cosmo e la materia erano retti da un rigido determinismo, inevitabilmente legati al tempo e alla corruzione, senza possibilità alcuna di partecipare alla gloria e all'immortalità proprie della sfera degli dèi. Il pagano Porfirio (233-305), ad esempio, nella sua critica alla resurrezione non risparmierà né satira né cinismo (cfr. Contra christianos , fr. 94). La seconda difficoltà, su un piano maggiormente filosofico, riguardava il fatto che la resurrezione del corpo era comunemente rifiutata nel contesto della antropologia e della cosmologia platonica allora in voga. Nella cosmologia greca, la materia era considerata del tutto estranea allo spirito. In coerenza con questa visione, l'anima era considerata prigioniera del corpo, o al massimo come il suo pilota, legata ad esso in modo del tutto estrinseco, ed era immortale. Per la mentalità platonica, la resurrezione dei corpi voleva dire un vergognoso ritorno dell'anima alla sua prigione; il corpo veniva infatti ritenuto fonte di limitazione, di disgrazia, di male, l' epitomé della non-salvezza. Dopo tutto, per il pensiero greco l'uomo "è la sua anima", ed il corpo un accessorio accidentale.

Gli autori cristiani replicarono in varie maniere alla sfida posta dai filosofi pagani. Il principale argomento che essi offrirono era però spiccatamente teologico: Dio è sovrano e onnipotente creatore della terra e dell'umanità: pertanto Egli è perfettamente capace di far risorgere gli esseri umani dalla morte ed ha promesso ciò sia attraverso i miracoli compiuti attraverso il suo Cristo, sia, in particolare, risuscitandolo dopo la sua morte in croce (cfr. Tertulliano, De resurrectione , 11, 3; s. Agostino, De cura pro mortuis gerenda, 2, 4; Gregorio Magno, Homiliae in Evangelia, II, 26). Con l'utilizzo di alcune analogie prese dal mondo naturale - come il sorgere ed il tramontare del sole, la trasformazione dei semi e dei fiori, o la fenice che si riteneva potesse risorgere dalle proprie ceneri - gli autori cristiani cercavano poi di mostrare che la loro dottrina sulla resurrezione non era avulsa dalla natura del cosmo. Il potere di Dio nel far risorgere i morti non contraddiceva le leggi della natura, ma piuttosto le portava a pienezza, dando loro una nuova e definitiva prospettiva di vita. Come abbiamo già osservato, la promessa della resurrezione costituiva una certa sfida per l'antropologia e la cosmologia del tempo. Tuttavia, la materia e la corporeità, sebbene considerate limitate e corruttibili, nella luce del progetto di Dio sulla creazione espresso dall'Incarnazione, morte e resurrezione del Verbo, venivano a possedere un'autentica vocazione all'eternità.

LA RISURREZIONE DI GESU' E' LA BASE  DELLA NUOVA CREAZIONE.

 Come emerge nella Lettera ai Colossesi , che Dio ha creato l'universo non solo "attraverso" Cristo, ma "per" Cristo ( Col 1,16). Questo testo lascia ben chiaro che la Parola non è un mero strumento o il mezzo perché la creazione e la perfezione del cosmo abbiano luogo, un mezzo che sarebbe subordinato ad un altro fine ultimo (come ad esempio la bontà o la beatificazione dell'universo), un mezzo da cui, alla fine del processo, si potrebbe poi prescindere. Pertanto, se la Parola creatrice fosse in funzione dell'esistenza o della perfezione della creazione, essa sarebbe in definitiva contingente, non pienamente divina, come sostenuto da Ario (256-336) nella sua lettura neoplatonica del NT. In accordo con la fede cristiana, invece, Cristo - Parola di Dio destinata ad incarnarsi - è essa stessa, e non altri, "il fine e lo scopo supremo" dell'universo. In altre parole, fin dalla sua origine, l'universo si dirige verso null'altro che la sua perfezione ultima, Gesù Cristo, Parola eterna di Dio fatta carne, il Signore Risorto dell'intera creazione. Il ruolo finale di Cristo specifica ancora meglio l'espressione che la creazione è stata fatta "attraverso" la Parola.
Un secondo modo lo offre s. Paolo quando afferma che noi non siamo stati solo salvati, ma anche creati "in Cristo": «tutte le cose sussistono in lui» (Col 1,17); «[Lui] che sostiene tutto con la potenza della sua parola» (Eb 1,3). In altri termini, Cristo non ha il mero ruolo di causa "strumentale" della creazione, nel senso che le dà una forma una volta per tutte quando il mondo è stato formato, e neanche solo la sua causa "finale", nel senso che tutta la creazione punta verso di lui. In altre parole, Cristo non è la causa "estrinseca" di una creazione che aspira ad una perfezione al di là di se stessa. Piuttosto, il Padre  lo ha voluto come strumento creativo, egli è sempre presente nella creazione, la mantiene in esistenza, muove le creature ad agire in accordo con la loro natura specifica, le conduce al loro fine ultimo, Dio attraverso il Figlio permette ché «in lui noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Se nell'AT YHWH è considerato la sorgente della vita, nel NT è Gesù Cristo che dà la vita (cfr. Gv 4,10). Egli è capace di farlo perché «come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso» (Gv 5,26). Si deve dunque dire che tutte le cose create ricevono esistenza, sussistenza, vitalità, intelligibilità e consistenza dall'inesauribile sorgente di Vita che è il Verbo di Dio. L'universo, nel suo insieme, può essere considerato in certo modo come qualcosa di vivo, che è stato creato, vivificato, conservato, e che viene condotto alla sua perfezione escatologica dall'interno, attraverso l'opera dello stesso Verbo di Dio fatto uomo. La culminazione di questo processo, tanto nella sfera umana, come in quella cosmica, è proprio la resurrezione finale, realizzata attraverso la potenza di colui che è «la resurrezione e la vita» (Gv 11,27).
Concludendo, la fede nella resurrezione finale mediante la potenza creatrice di Dio - per i cristiani basata sull'intrepida testimonianza degli Apostoli che "hanno visto" il Signore Gesù Cristo risorto - agisce come un potente catalizzatore, attraverso la storia, per lo sviluppo ed il consolidamento dell'antropologia e dell'etica cristiane, e, col passo dei secoli, per lo sviluppo della scienza. Inoltre, questa fede ha insegnato qualcosa che il mondo antico non avrebbe mai sospettato: che la materia corruttibile era stata creata da Dio con una vocazione all'eternità. 
La cosmologia classica, con un approccio all'universo di tipo statico e meccanicista, rese difficile l'intelligenza di una dottrina sulla resurrezione che non fosse compresa come una discontinuità, un intervento estrinseco di Dio, o a volte in termini puramente simbolici. Si può anche capire che, nell'epoca moderna, essa abbia corso il rischio di perdere interesse e significato presso non pochi filosofi o scienziati cristiani. Tuttavia, una rinnovata teologia della creazione "attraverso Cristo", "per Cristo" e "in Cristo", così come una comprensione maggiormente dinamica ed aperta dell'universo fisico, hanno reso possibile oggi chiarire e recuperare il pieno versante "cosmico" della fede nella resurrezione, il quale, però, non era mai stato assente dalla rivelazione della scrittura.

JD Jonny

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